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"Concorso pubblico" o "applicazione
di familismo amorale"?
Enrico Salvatori, Medico, Forte dei Marmi
Ieri sono andato dal mio libraio, ho comprato tre libri e sono andato
al mare...
Ho letto il primo, "La
giubba del re. Intervista sulla corruzione",
di Piercamillo Davigo, a cura di Davide Pinardi (Laterza 2004), e
mi sono soffermato su due domande.
La prima a pagina 74:
Domanda – Sul
piano dell’antropologia culturale spesso si è osservato
come in Italia esista qualcosa che si potrebbe chiamare
un "familismo amorale allargato". Chi ne è all’interno
percepirebbe lo Stato e la società civile come
qualcosa di radicalmente altro da sé e dal proprio
mondo; la vera comunità importante sarebbe la
propria "famiglia", la propria ramificazione di clientele,
il proprio gruppo di appartenenza con regole e norme
consuetudinarie. A lei sembra che ciò abbia
una relazione con i temi che stiamo affrontando?
Risposta – Direi proprio di sì. |
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La seconda a pagina 227:
Domanda – […] dobbiamo
essere ottimisti o pessimisti?
Risposta - Io rimango ottimista per le ragioni
che avevo già espresso nella prima edizione del libro. In
ogni caso, anche se così non fosse dovremmo comportarci
come se quelle ragioni fossero valide. Anni fa mi recavo di frequente
da un notaio per farmi autenticare le sottoscrizioni su procure
speciali ai miei difensori per la costituzione di parte civile
in processi in cui ero persona offesa dei delitti di diffamazione
e calunnia. Il notaio, a furia di vedere le cose che avevano detto
dei miei colleghi e di me e delle tensioni che ciò poteva
innescare mi chiese come potesse continuare così. Gli risposi: "non
prevarranno" (1).
Il notaio mi oppose però che tale massima vale solo per chi è di
formazione culturale cristiana e che secondo il libro del Sinedrio del Talmud
neanche i giusti possono vincere in questo mondo, altrimenti non vi sarebbe bisogno
della redenzione. Di fronte a questa dottissima citazione risposi citando a mia
volta il dialogo tra Krishna e Arjuna nel Mahahharata, un poema indù che
racconta la guerra tra le famiglie dei Kaurava e dei Pandava. Arjuna era lacerato
da questa guerra, non sapeva più che cosa fare, né quali sarebbero
state le conseguenze ultime delle sue azioni, e chiese come dovesse comportarsi.
Krishna gli rispose che egli era un guerriero e che il suo dovere era di combattere
a prescindere dalla conseguenze ultime. Non a lui ma agli dei competeva di guidare
il mondo, lui doveva solo fare al meglio delle sue capacità ciò che
gli era toccato in sorte di fare. […]
(1) Matteo 16:17."Tu
es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam
meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam" (giustificata
dagli studiosi con il fatto che in Aramaico "Pietro" e "rocca/pietra" sono
entrambi "Cepha"). A parte che, sulla prima pagina dell’Osservatore
Romano, subito prima c’è scritto Unicuique suum, che mi
va molto bene, in effetti voler accostare il piccolo M e il piccolo piccolo M
a Portae Inferi è vagamente ridicolo. |
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Poi ho iniziato il secondo
libro, "Il
sovrano e il dissidente. La democrazia presa sul serio",
di Paolo Flores d’Arcais (Garzanti 2004).
A pagina 10, dopo
aver letto queste osservazioni,
I paesi dell’Est erano democratici
due volte: democrazie popolari, tautologia di un "potere
del popolo" (dèmos-kratìa)
a ridondanza verbale e soppressione di fatto. Le parole
sono libere, c’è dunque libertà di
farne "parole in libertà", purtroppo:
anche contro la libertà. Tutti hanno diritto a usarle,
laddove non ci sia censura, ma l’appropriatezza di
una parola che rovesci la "cosa stessa" dovrebbe
produrre automatismi d’insurrezione critica […]. |
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mi sono venute in mente le parole "Concorso pubblico".
Concorso presuppone una corsa fra più, con partenza dalla
stessa linea e… vinca il migliore. Pubblico vuol dire che
tutti possono partecipare, evidentemente per cercare di vincere.
Converrebbe chiamarli "Applicazione
di familismo amorale allargato"?
Oggi dovrei finire il secondo libro e iniziare
il terzo, "Il
bisogno di patria",
di Walter Barberis (Einaudi 2004):
L’Italia è una comunità nazionale
leggera: ha scarso senso civico e non si riconosce
in interessi generali. |
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